
Questo carteggio nasce come il proseguimento di un'educata discussione con Numero Uno, pseudonimo di un dirigente di punta di un noto istituto di ricerca su temi socio-economici. Il dibattito, iniziato domenica scorsa in occasione di una conferenza a Livorno, è continuato attraverso uno scambio di mail che si riporta in versione integrale qui sotto.
Ringraziamo Numero Uno per aver risposto con grande disponibilità ai miei messaggi e per aver concesso l'autorizzazione a pubblicarli.
È giusto poi sottolineare che le mail indirizzate a Numero Uno sono state stese a seguito di lunghe discussioni con tutta la Redazione.
Se qualche lettore interessato all'argomento trovasse poco chiari alcuni dei temi toccati, non si scoraggi. L'economia, che tutti nella nostra redazione mastichiamo solo per diletto e non per professione, è ricca di termini tecnici che in fin dei conti indicano fenomeni molto concreti. Se leggere questo breve carteggio non fornirà soltanto due punti di vista diversi sulla faccenda, ma spingerà anche qualche volenteroso lettore ad approfondire autonomamente certe questioni, sarà un doppio successo per noi della Chiosa. Inoltre saremo lieti di accogliere in questa sezione altri contributi al dibattito.
Il mio primo messaggio prende il via dal dato della percentuale di debito pubblico italiano in mano straniera. A voce ci eravamo trovati ad avere delle perplessità su questo dato, e capirete presto perché fosse così importante chiarire i numeri: il tema è quello della moneta unica e delle potenziali conseguenze dell'uscita dell'Italia dall'euro.
19/05/2019
Caro Numero Uno,
Le scrivo per ringraziarla ancora della bellissima presentazione di ieri e della interessante discussione che abbiamo intavolato dopo.
Ah, una volta tornato a casa ho controllato, la percentuale del debito italiano in mano estera è scesa sotto il 33%. Secondo me ne vedremo delle belle con 'sta moneta unica!
È stato davvero un piacere conoscerla, spero ci sia occasione di rincontrarla presto.
Un caro saluto,
Ludovico Vicino
20/05/2019
Grazie e condivido che la discussione sia stata interessante.
Secondo Banca d'Italia (https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/finanza-pubblica/2019-finanza-pubblica/statistiche_FPI_20190515.pdf )(Tavola 5), il debito italiano in mano estera è il 29 per cento, circa 682 mila mld (vedasi file che ti ho allegato), ma gran parte del debito residente è "in mano alle banche" (401 mila alla BdI cioè alla BCE +654 mila +455 mila ad altre banche e assicurazioni). Il debito in mano alle famiglie e alle imprese su cui puoi agire -non rimborsando, o rimborsando ad un valore più basso o ristrutturando gli interessi- è minor cosa:129 mila miliardi (circa il 6%). Quindi:
a) se non rimborsi il debito, o parte significativa di esso, depatrimonializzi le banche con gravi ripercussioni sui prestiti futuri e su quelli già accessi (le banche ti richiederebbero di rientrare). Le banche si troverebbero inadempienti rispetto ai requisiti richiesti dagli accordi di Basilea per le perdite di valore dei titoli in loro possesso con una conseguente contrazione dell'offerta di finanziamenti a imprese e famiglie. E con che credibilità potrebbero poi raccogliere sui mercati i fondi necessari per colmare la eventuale distanza fra raccolta al dettaglio e prestiti?
b) se esci dall'euro ed il debito pubblico è convertito in lire (poiché chi detiene il debito sta attento ai rendimenti reali) la parte di debito in mano all'estero, ma anche in mano agli italiani, richiederebbe rendimenti nominali più alti con la conseguenza che devi collocare il debito a interessi nominali superiori. Chi si fiderebbe della tenuta della lira rispetto alle altre valute? Quindi vorrai avere interessi nominali più alti a remunerazione di questo rischio, con effetti esplosivi.
c)se esci dall'euro ed il debito pubblico è convertito in lire, ma monetizzato dalla banca d'Italia, cioè da essa comprato e ripagato ai possessori, la massa monetaria che deve generarsi ed essere immessa nel mercato è tale da, non essendo sufficienti nè le riserve auree né quelle valutarie, generare una spirale inflattiva che è quello che è sempre avvenuto nella storia: repubblica di Weimar, Turchia negli anni 90, Argentina e via dicendo. E questo avviene perché stamperai moneta non in funzione della domanda, ma in funzione delle necessità di finanza pubblica causando un potenziale squilibrio tra domanda e offerta di moneta che indurrebbe gli agenti economici a liberarsene, non sapendo cosa farsene, comprando beni, valuta estera o altre attività finanziarie con conseguenti effetti inflazionistici sul prezzo degli stessi. Una cosa è la creazione di liquidità per il sostegno dell'economia (faccio investimenti) altra cosa per finanziare deficit o debito.
In ogni caso l'uscita dall'euro ha effetti ignoti, perché senza precedenti valendo l'unione monetaria circa 1/6 del pil mondiale. Non vorrei rischiare sulla pelle di tutti noi.
Inoltre resto fermo alle considerazioni di ieri. Se esci dall'euro e svaluti per recuperare competitività, non puoi far salire i salari nominali che si rimangerebbero in fretta l’effetto competitivo della svalutazione. Quindi i salari nominali dovrebbero stare fermi, mentre i prezzi aumenterebbero (perché i prodotti importati costerebbero di più, pensa solo alla nostra dipendenza energetica) e conseguentemente si ridurrebbe il salario reale e di fatto si svaluterebbe anche il lavoro. Questo è nella storia anche quanto è successo dopo la svalutazione del '92. Diminuirebbe anche la domanda interna per questa via e quindi non mi pare il ritorno al periodo della svalutazione competitiva una soluzione virtuosa. Aggiungo che se agli imprenditori si lascia la leva della svalutazione si disincentiva, e molto, la spinta alla innovazione e all'aumento della produttività. Anche questa è storia recente.
Aggiungi che l'uscita dall'euro per evitare perdite in conto capitale rischia di accelerare una corsa al prelievo massiccio di depositi e riallocazione all'estero degli investimenti finanziari con conseguenze da paese del terzo mondo.
La soluzione virtuosa è rilanciare la crescita con gli investimenti se ce li fanno fare, ma è su questo che si deve combattere in Europa. Poi sono d'accordo con un maggiore dirigismo delle politiche economiche e industriali, ma questo è un altro discorso.
Tieni conto di un punto: siamo un paese povero di risorse naturali, molto laborioso perché le ore lavorate sono più di quelle dei tedeschi, ma a bassa produttività e alto debito pubblico. Non siamo messi benissimo e per colpa nostra principalmente. Suona male dirlo, ma temo che non ci siano molte soluzioni: o l'Europa ci aiuta (consolidamento del debito, finanziamento di un programma di investimenti pubblici, assegno europeo di disoccupazione, ecc.) oppure dobbiamo fare i conti un po' con le nostre colpe. Se non usciamo dall'euro, gli squilibri di finanza pubblica devono essere ricomposti e quindi dovremo tagliare la spesa corrente per aumentare la spesa in conto capitale e rilanciare gli investimenti e/o aumentare le entrate (c'è un nero ed una evasione monstre). Significa meno redditi oggi per avere più redditi domani. Oppure usciamo dall'euro, battiamo moneta, ma a parte la marginalità politica a cui ci condanneremo, diventeremo un paese ad elevata inflazione, bassi salari reali e nessuna spinta a comportamenti virtuosi (innovazione, maggiore produttività ecc.).
Siccome sei ancora giovane, ed è una gran qualità in un panorama in cui il dibattito pubblico e politico è quasi sempre frequentato da vecchi, sei pieno di entusiasmo, spinte ideali e voglia di fare, mi raccomando non dimenticare di essere anche rigoroso. E quindi magari, volenti o nolenti, usciremo dall'euro, ma non sottovalutarne i costi.
Ah... Ti consiglio un bel libriccino. Ciocca. Tornare alla crescita. Donzelli editore.
Con amicizia
Numero Uno
21/05/2019
Caro Numero Uno,
Le sono riconoscente per aver speso del tempo a scrivere una risposta così compiuta. Sperando che possa farle piacere continuare questo nostro amabile carteggio senza alcuna fretta, butto giù anche io qualche riga di risposta alle sue considerazioni.
Nessuno ha mai proposto che il debito non venga rimborsato. Non c'è nessun problema infatti a ripagare il debito finché c'è una banca centrale a garantirlo. Il default o l'iperinflazione storicamente sono occorsi quando il debito era contratto in valuta straniera: dollari per l'Argentina, oro per Weimar. L'Italia non avrebbe alcun bisogno di indebitarsi in valuta estera perché ha bilancia commerciale in attivo, ed è bene tenere a mente che la possibilità di una spirale Weimariana diventa concreta solo quando la bilancia commerciale è fortemente in negativo. Va da sé poi che è dai tempi di Nixon (forse dovrei dire di Hitler?) che la moneta è staccata dall'oro, quindi le riserve auree sono l'ultimo dei nostri pensieri.
Insomma il debito pubblico non costituirebbe un vero problema in caso di uscita dall'euro, quindi veniamo alla questione calda della potenziale ondata di inflazione. Tanto per cominciare vale la pena sottolineare che gli interessi sui titoli di Stato sono da sempre indicizzati all'inflazione, dunque non ha alcun motivo di temerla chi già possiede i titoli, si tratti di privati o di banche. Inoltre ricordiamoci che il famoso mercoledì nero che portò l'Italia all'uscita dallo SME diede vita a un periodo di grande benessere per la finanza e l'economia reale. Non è l'opinione di qualche matto con il cappello di stagnola, ma di Mario Monti. Il professore a inizio novembre del '92 commentava l'incombere di un potenziale sgancio dai tassi di cambio fissi come una catastrofe da scongiurare ad ogni costo, proponendo l'introduzione di una serie di imposte che avrebbero potuto (con lacrime e sangue) rimettere in piedi i bilanci dello Stato. Quattro mesi dopo, con grande candore e una discreta faccia di bronzo, spiegava in un'intervista a Repubblica l'esatto opposto, cioè che "la svalutazione ci ha fatto bene" e che "non siamo stati gli unici a saltare, ma anzi siamo stati i primi a vedere la strada da seguire." È chiaro poi che in una fase del genere è importante che lo Stato agisca attivamente regolamentando il mercato del lavoro, acciocché i benefici della temuta inflazione non siano appannaggio della sola classe imprenditoriale. È tuttavia importante evidenziare che anche in assenza di un concreto intervento legislativo in questo senso, le cose vanno meglio senza piuttosto che con i dogmi dell'austerity (ante-litteram in questo caso).
Per concludere, le faccio sommessamente osservare che molte delle calamità che lei propone come rischi in caso di uscita dall'euro, sono in realtà fatti concreti che viviamo, anzi paghiamo, già adesso. Gli interessi sui titoli italiani sono artificiosamente alti proprio perché non c'è una banca che faccia regolarmente da prestatore di ultima istanza, e non fingiamo di non vedere che il debito italiano è una delle più grandi fonti di reddito delle banche europee. Nessun banchiere tedesco o francese ha alcun interesse che lo spread cali, il gioco è proprio quello di tenerlo costantemente alto. Insomma, a mio avviso preoccuparsi delle piaghe d'Egitto che ci potrebbero piombare addosso in caso di uscita dalla moneta unica ha poco senso visto che le locuste ci stanno già masticando il didietro. La ringrazio ancora per il tempo dedicato, e le chiedo se le facesse piacere che questo nostro piacevole dibattito fosse pubblicato sul sito che porto avanti con passione assieme a dei cari amici (nessun economista di professione, tutti per diletto). Abbiamo aperto da poco una sezione dedicata proprio alle corrispondenze come questa e sarebbe per noi un onore pubblicare il suo (i suoi) contributi, se preferisse anche sotto pseudonimo. Ah che sciocco, il sito è www.lachiosapubblica.it e ci occupiamo di vari argomenti, dalla geopolitica al sociale all'economia, semmai avesse un momento morto le consiglio di darci un'occhiata, potrebbe piacerle. Le questioni di economia e finanza sono trattate per di più negli articoli di Castello Francescucci (pseudonimo di dubbio gusto di F*******o C*********i).
Spero di risentirla presto, è sempre un piacere.
Un caro saluto,
Ludovico Vicino
P.S. La ringrazio anche per il consiglio bibliografico, anche se quando ci si avvicina al tema della produttività mi metto sempre sull'attenti. La produttività è un parametro veramente questionabile perché fisiologicamente si alza negli anni in cui si contrae il benessere dei lavoratori. Preferisco di gran lunga una politica keynesiana, che rischi di tutelare il lassismo di un imprenditore e al contempo permetta di lanciarsi più serenamente nelle sfide dell'innovazione tecnologica, a un'austerità che spinga le imprese a uno stakanovismo poco produttivo ma ad alta produttività grazie alla contrazione salariale.
21/05/2019
Caro Ludovico,
non condivido e sono sicuro di avere ragione, ma trovo utile anche per me (mi costringe a riflettere oltre i luoghi comuni) questa discussione. Puoi pubblicare il nostro scambio di idee sulla Chiosa usando lo pseudonimo Numero Uno, che è un personaggio un po’ misterioso del gruppo T.N.T. del fumetto Alan Ford ed evoca molte cose tra cui, ironicamente, anche la mia inclinazione a primeggiare.
Un saluto,
Numero Uno