
John Oliver, presentatore americano della trasmissione satirica di successo “Last Week Tonight”, definì Donald Trump “Il Forrest Gump dello squallore umano” commentando una foto del Presidente USA insieme al nostrano Salvini. Certo siamo ben a conoscenza di quanto l’ambiente Lib-Dem statunitense ci vada giù pesante con il Tycoon, però ho trovato davvero ilare il paragone... In quanto particolarmente azzeccato. Non perché sia d'accordo nel considerare squallido il segretario del Carroccio, bensì per il “circo” di personaggi e sostenitori che circonda l'inquilino della Casa Bianca più stravagante di sempre. E vorrei raccontarvi proprio di uno dei suoi sostenitori più incredibili: Alex Jones.
Jones è un conduttore radiofonico molto seguito. Il suo attuale programma, InfoWars, dallo slogan "There's a war on for your mind!", è diventato un vero e proprio oggetto di culto. Si tratta della versione in salsa americana del nostro, altrettanto famoso, programma radiofonico “La Zanzara”. La differenza sta sostanzialmente nella totale mancanza di freni inibitori da parte del suo unico conduttore il quale esprime opinioni volutamente controverse su temi sensibili. Razzismo, immigrazione, antisemitismo, misoginia, omofobia non possono mancare, se ci aggiungiamo anche teorie del complotto deliranti e bufale esagerate abbiamo il quadro della follia che attraversa questo spericolato show. “Mi organizzerò con la mia famiglia, sto realizzando che siamo sotto attacco da parte degli ingegneri sociali. E combatterò con i miei vicini di casa! […] YAAAHHH! RAAAHH! Stiamo venendo a prendervi, globalisti!” “Non mi piace che LORO mettano delle sostanze nell’acqua che fanno diventare le dannatissime rane gay!” E non dimentichiamoci di: “Quando penso a tutti i bambini che Hillary Clinton ha personalmente ucciso, macellato e stuprato, non ho alcuna paura di oppormi a lei.” Sulla versione inglese di Wikiquote [1] trovate tutto il meglio del peggio.
Da sempre gli Stati Uniti d’America hanno una tradizione, per certi versi antitetica a quella italiana, a favore della libertà d’espressione. Nulla a che vedere con la nostra giurisprudenza, in cui è previsto che la magistratura si occupi attivamente di perseguire reati d'opinione e si permette a tutti (anche se di fatto solo a coloro che possono sostenere le spese legali) di intasare i tribunali con temerarie cause di ingiuria o diffamazione. InfoWars è un programma forte insomma ma assolutamente in linea con ciò che la legge statunitense permette di esprimere. La situazione tuttavia è virata completamente durante l’estate di quest’anno: Stitcher Radio, Facebook, Apple, Youtube, Spotify, Vimeo, Pinterest, MailChimp, LinkedIn, Twitter, Periscope e PayPal hanno deciso, in maniera più o meno definitiva, di rimuovere contenuti e profili legati ad Alex Jones. Come in un delirante contrappasso, i “potenti” (del web questa volta) hanno attuato una feroce damnatio memoriae sulla trasmissione. Ed è di fronte a circostanze come questa che diventa necessario fermarci a riflettere: è legittimo lo strapotere di queste corporation?
Anche non nutrendo una particolare stima per il lavoro di Jones, la possibilità che delle aziende dominanti nelle relative posizioni di mercato possano ostacolarlo con l’intento di attuare una censura è preoccupante. Oggi censurano i deliri di InfoWars, e potrebbe anche andarci bene, ma se un domani iniziassero a danneggiare alcune aziende strategiche? Potrebbero sabotare la campagna di un politico ostile? E se decidessero, invece, di metter sotto scacco l'economia di uno Stato fragile? Dopotutto queste corporation hanno bilanci equipollenti a quelli di una piccola nazione e, anche senza considerare le armi finanziarie, possono creare una serie di disservizi tali da far tremare le economie più solide. Se pensiamo a Google, per esempio, e a tutti i pacchetti che offre a famiglie e imprese ci possiamo rendere conto della loro pervasività nella nostra vita digitale. Cionondimeno, nessuno ha consegnato loro lo scettro della giustizia. Nessuno ha stretto alcun patto sociale con loro. Non ci sono elezioni a suffragio universale per nominare i loro consigli d’amministrazione. La locuzione inglese “Too big to fail”, che spesso si usa per descrivere lo status di salute di queste corporation, rischia facilmente di diventare “Troppo grande per controllarlo” o addirittura “Troppo grande per potervisi opporre”.
Come ci insegna il racconto biblico di “Davide contro Golia” esiste un punto debole anche nei nemici più colossali. Lo strapotere di queste aziende è rappresentato dalla loro posizione esclusiva e dominante in specifici settori di mercato: ciò che si può attuare concretamente per ridimensionare e disinnescare questa terribile minaccia è fornire un’alternativa. Specialmente nel mondo del Web le Università potrebbero costituire non solo una formidabile concorrenza ma rappresentare una garanzia da eventuali azioni ostili. Integrando le infrastrutture già presenti, come il GARR o i vari datacenter universitari, si potrebbero offrire dei servizi ai cittadini italiani fornendo al contempo più fondi e mezzi ai ricercatori, senza neppure dover far fronte all'enorme spesa per una realizzazione ex-novo . Si creerebbero dei posti di lavoro più o meno qualificati in supporto al personale universitario e sopratutto si fermerebbe l’emorragia di capitali verso i mercati esteri. E questa è solo una delle varie strategie a disposizione. Certo, sopratutto in Europa, qualcuno potrebbe agitare lo spettro dell’ingerenza statale nel mercato libero per giustificare un certo permissivismo verso i “mostri” del capitale. Ma alle vestali del liberismo assoluto bisognerebbe ricordare la lezione della storia: i trust e i monopoli che mandarono le borse di tutto il mondo a gambe all'aria nel '29 non hanno un aspetto poi così diverso da quelli che ritroviamo oggi quotati a Wall Street. A parte il design un po' meno accattivante.
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