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“Bisogna che la Chiosa Pubblica sia giusta e incorrotta, forte e umana: forte con tutti i colpevoli, umana con i deboli e i diseredati.”

Sandro Pertini

Controcantico europeo

Fubini sorride compiaciuto.

Articolo apparso su "ilParagone" in data 25 aprile 2020.

“L’Europa adesso c’è”. Questo il titolo dell’editoriale di Federico Fubini che grottescamente campeggia sulla prima pagina del Corriere nel 25 aprile più cupo di sempre. Chi ha seguito gli esiti dell’ultimo Eurogruppo e del Consiglio Europeo di giovedì potrebbe immaginare in prima battuta che tutto il pezzo sia una stoccata tagliente contro questa Unione Europea, incapace di abbandonare i dogmi austeritari persino nel momento più travagliato della propria storia. In Italia persino il più devoto unionista avrà avuto uno scatto di sdegno di fronte al surreale dibattito sulla natura del Recovery Fund: mentre assistiamo all’agghiacciante spettacolo di un tessuto economico che si sgretola giorno dopo giorno in un lockdown di cui non si conosce neppure la fine, ai tavoli europei si discute se i finanziamenti agli Stati del Recovery Plan debbano configurarsi come prestiti o come trasferimenti a fondo perduto. Una scenetta che manco Buñuel avrebbe saputo eguagliare.

E invece niente. Anzi, inoltrandosi nella lettura si scopre che nell’articolo di Fubini c’è proprio tutto meno che il sarcasmo. Dopo aver visto la fede vacillare per settimane di fronte alle uscite della Lagarde e alle esternazioni dei premurosi falchi del Nord, l’abate del giornalismo economico nostrano ha ritrovato l’amor sacro che temeva di aver perso. È proprio vero che l’europeismo è (e non può non essere) una religione: solo con la forza del fervore mistico è possibile coprirsi gli occhi e profondersi in un inno così accorato.

Con il rispetto e la reverenza che si devono agli alti prelati, proviamo dunque a rispondere punto per punto alle nove strofe in cui è scandito il cantico, riportando i periodi chiave di ogni “lezione” (sic!). Tenendo bene a mente – sia chiaro – un’altra lezione, quella di un certo Kierkegaard: lo sappiamo, Padre Federico, che la quintessenza della fede sta proprio nell’accettazione dell’irrazionale. Ma magari neppure Voi troverete inutile una lettura un tantino più laica delle proposte in ballo fra le scrivanie dei palazzi di vetro a Francoforte e Bruxelles.
Speriamo. Anzi, preghiamo.

1. “L’Europa c’è. [...] la BCE ha lanciato un altro piano di acquisto di titoli per 750 miliardi (non sarà l’ultimo), sono stati varati progetti limitati ma concreti del fondo salvataggi MES e della Commissione che prestano a tassi bassissimi per coprire la spesa sanitaria e un mese di cassa integrazione. Ora la prova della verità: un Recovery Plan che ieri il vicepresidente della Commissione vedeva attorno ai 1500 miliardi, in parte prestiti e in parte trasferimenti a fondo perduto.”

Certo, rispetto al giorno in cui il lapsus (freudiano) della neopresidente fece esplodere i mercati, i cordoni della BCE sono stati allargati. Ma siamo ancora lontanissimi da quello che una vera banca centrale potrebbe o, meglio, dovrebbe fare in una condizione emergenziale. Tanto per dare un’idea, la Federal Reserve, dopo aver garantito il suo sostegno illimitato all’economia americana, ha immesso sui mercati liquidità per circa dieci volte quello che ha fatto la BCE, sostenendo un provvedimento di helicopter money che ha accreditato 1200 dollari sul conto corrente di ogni cittadino. Bank of England invece è addirittura passata a un protocollo di monetizzazione diretta dei debiti contratti da Downing Street per far fronte alla crisi pandemica. Anche in Asia molti grandi Paesi sfruttano a pieno la propria sovranità monetaria per iniettare nell’economia reale tutta la moneta che il Coronavirus ha, di fatto, bloccato.
Nel vecchio continente invece la salvezza dovrebbe arrivare dall’ennesimo fondo che si aggancia al bilancio europeo, di cui  – val la pena ricordarlo – l’Italia è contributore netto. Nel documento prodotto dal Consiglio Europeo non si fa neanche lontanamente riferimento alla possibilità di scaricare le garanzie sulla banca centrale. Insomma, è la solita solfa che non altera minimamente il paradigma economico unionista e che perpetra l’ormai canonico protocollo “ognuno per sé e Dio per tutti”. Perfetto per i momenti duri, non c’è che dire.

2. “Lo scontro fra governi se offrire trasferimenti o prestiti è importante (i secondi farebbero salire i debiti), ma meno di quanto sembri. Prestiti concessi a lunghissimo termine e a tassi bassissimi, al di sotto dell’inflazione e della crescita attesa, in termini sostanziali gravano poco.”

L’argomento sembra convincente, ma ha un paio di problemini. In primis, non è affatto detto che il “lunghissimo termine” inteso dal Governo italiano sia lo stesso “lunghissimo termine” a cui pensano tedeschi e olandesi. L’esperienza suggerirebbe che non sia così, ma mai diffidare della Provvidenza. In secundis, anche nel remoto caso in cui si parlasse di titoli a cinquant’anni, rimane l’annosa questione del debito pubblico. Eh già. Non dimentichiamoci che per i chierici dell’austerità, fra i cui ranghi compare lo stesso Fubini, i nuovi prestiti andrebbero conteggiati nel debito pubblico andandone ad intaccare la cosiddetta sostenibilità. Che, come sappiamo dai tempi del “Fate presto”, è un tema a loro carissimo in nome del quale è possibile, anzi doveroso, tagliare e tassare. Con queste prospettive, sarei molto curioso di sapere a quale crescita e a quale inflazione faccia mai riferimento il Nostro.

3. “L’Italia con una sua moneta nazionale non potrebbe farlo. Le operazioni colossali di creazione di denaro da parte delle banche centrali sono sostenibili senza collassi del cambio, fughe dei capitali e impennate dei tassi solo con una moneta di riserva globale.”

Con tutto il dovuto rispetto, la storia secondo cui “l’Italietta della liretta” non andrebbe da nessuna parte è una delle più indisponenti. In passato è stato proprio l’impiego della Banca d’Italia all’interno di un impianto economico fortemente keynesiano a permettere alla bistrattata Italietta di ricostruire in un decennio un Paese distrutto dal conflitto mondiale, affrontare crisi drammatiche ed entrare nel novero delle prime cinque potenze del pianeta. E se proprio non si vuole scomodare la memoria storica, basta guardarsi intorno: dove va il Giappone con il suo Yen? E la Korea con il Won? E i paesi scandinavi, con le loro Corone danesi, svedesi e norvegesi? Per la cronaca, non risulta che nessuno di questi Stati possa vantare una “moneta di riserva globale”. Eppure non si vedono all’orizzonte né collassi del cambio, né fughe dei capitali, né tantomeno impennate dei tassi di interessi, che anzi possono esser mantenuti bassi proprio grazie al ricorso alle banche centrali.
Ma il mantra contro “l’Italietta della liretta” non è così irritante solo perché completamente privo di basi scientifiche. È odioso perché attinge a piene mani a quella forma di auto-razzismo che nel giro degli ultimi trent’anni gli italiani hanno introiettato. Del resto, allo scopo di legittimare la deriva tecnocratica e antidemocratica a cui è stato consegnato il nostro Paese dal ‘92, era necessario diffondere una narrazione  che ci voleva tutti cialtroni, fannulloni e corrotti. E drammaticamente, anche grazie alla complicità di quasi tutta l’intellighenzia nostrana, ha funzionato.

4. “[Grazie al Recovery Fund, NdR] il Paese presto inizierà a ricevere nuove somme tali da raddoppiare o anche moltiplicare per cinque gli investimenti pubblici.”

Siamo lieti che Fubini sia finalmente approdato al moltiplicatore keynesiano e, dunque, alla necessità di investimenti pubblici per rilanciare la crescita. Siamo un po’ meno lieti del fatto che per anni e anni abbia cantato le lodi dell’austerità espansiva e glissato sulla macelleria sociale che i tagli alla spesa pubblica implicavano.

5. “[...] Merkel ha ragione: l’Italia non può esigere un colossale aiuto dall’Europa e in prospettiva tollerare un’evasione fiscale per almeno 110 miliardi l’anno, pensioni a quota 100, una giustizia lenta e incerta e tanti altri aspetti che d’improvviso sembrano anacronistici. Passata la recessione, il tema si porrà ma va riconosciuto da subito.”

Eccallà. A parte che il “colossale aiuto” in questione ci arriverebbe dall’Europa proprio perché abbiamo scelto di rinunciare alla nostra sovranità in materia di politica monetaria e fiscale, il problemuccio di questa quinta “lezione” è ben altro. Si apre fin d’ora alla necessità di una nuova stagione di “riforme strutturali”, altresì note dai tempi del Governo Monti come “riforme lacrime e sangue”.
Che dire, l’afflato keynesiano effettivamente c’è stato ma è durato poco.

6. “[...] il ritardo di produttività delle imprese italiane – dunque di crescita, redditi, lavoro – dipende in gran parte dal ritardo tecnologico. Le risorse del Recovery Plan andranno spese al meglio e con scelte coraggiose.”

Certo. Peccato che attualmente persino le proposte più generose dei Paesi del Sud Europa prevedano come condizione tassativa che i finanziamenti concessi dal Recovery Fund debbano esser spesi solo e soltanto per far fronte alle conseguenze della crisi pandemica. Con tutta la buona volontà, non sarà esattamente banale far rientrare le spese per colmare il digital divide tra quelle sostenute per fronteggiare il post-emergenza. Altro che scelte coraggiose: non sarà neppure possibile effettuare delle scelte, quindi meglio non parlare neppure di coraggio. Almeno quello lasciatelo ai cittadini. Ne avremo bisogno.

7. “La qualità nel loro investimento in Italia conterà quasi più del fatto che si tratti di prestiti o trasferimenti. [...] se finiranno sprecati in aiuole costruite all’ultimo pur di non perdere i fondi europei, qualunque debito dell’Italia è già oggi troppo alto.”

Aridaje.

8. “Il Recovery Plan in Italia non può funzionare se l’amministrazione resta bloccata.”

A Padre Federico il maresciallo Lapalisse fa un baffo. Tuttavia varrebbe la pena far notare che le sempre più gravose inefficienze dell’amministrazione statale non sono dovute a un progressivo impigrimento dei dipendenti pubblici. Che, al contrario, si trovano sempre più comunemente a dover supplire alle carenze di un organico pesantemente sottonumerato.
Forse, e dico forse, il problema è l’organico pesantemente sottonumerato. Chissà. Meditiamo.

9. “Non tutto è perfetto in Europa, ben lungi, e litigheremo ancora con Merkel o l’Olanda. Ma se si apre un’occasione e la sprechiamo, non prendiamocela con loro. Prendiamocela con noi stessi.”

Almeno su quest’ultimo punto, non possiamo far altro che concordare. Siamo tutti convinti che ci sarà ancora da litigare parecchio con tedeschi e sodali nella cornice di un’Europa tutt’altro che perfetta. Non c’è alcun dubbio in merito. Dunque, se si apre un’occasione, non sprechiamola.

Usciamo da questa gabbia. Altrimenti non potremo far altro che prendercela con noi stessi.

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