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"Libera Chiosa in libero Stato."

Charles de Montalembert

Gualtieri all'Eurogruppo delle Meraviglie

Gualtieri illustra la portata degli aiuti europei decisi in Eurogruppo.

È da più di ventiquattr'ore che la comunicazione marchiata Rocco Casalino marcia a tambur battente. Sotto al tendone filogovernativo le parole d'ordine di oggi sono: "Basta bufale! Il MES non è stato firmato!"
Vero, verissimo. Per accedere alle linee di credito del Meccanismo Europeo di Stabilità c'è bisogno di un voto parlamentare. Quindi Gualtieri – anche volendo, anzi pur volendo – non avrebbe materialmente potuto sottoscrivere l'ingresso italiano nei protocolli del MES.

Bene. Cioè male, perché l'accordo che è stato siglato in Eurogruppo ha un significato politico ancora più grave del mero acceso alle premure del fondo "salva-stati". Provo a spiegarmi, provate a seguirmi.

Nell'incontro di giovedì è stato disposto definitivamente quale sia l'armamentario di strumenti finanziari in mano ai Paesi dell'eurozona per far fronte all'emergenza Covid-19. Nell'accordo figurano il MES, il SURE, i prestiti della BEI e un vago riferimento a un fantomatico "Recovery Fund".

Ora, il MES ormai lo conoscete tutti e tutti dovreste aver capito che non ne esiste una versione senza condizionalità. Chi avesse ancora perplessità sull'argomento può andare a rileggersi l’articolo 7(5) del regolamento 472/2013 e scoprire come il Consiglio Europeo, su proposta della Commissione, ha la facoltà di modificare in ogni momento e unilateralmente le condizionalità stabilite con un voto a maggioranza semplice.

Il SURE è un fondo anti-disoccupazione che sarà coperto da garanzie liquide, ossia finanziato, tramite versamenti volontari dei singoli Stati. A questo fondo da (al più) cento miliardi potranno ricorrere i Paesi in difficoltà per sostenere i propri ammortizzatori sociali. Sempre, naturalmente, nella solita logica del vecchio fondo salva-stati: i Paesi accantonano liquidità per poi attingervi quando arrivano i guai, ma solo sotto forma di prestiti che andranno restituiti.

La BEI è la Banca Europea degli Investimenti e come tale concederà prestiti alle imprese in difficoltà. Purtroppo non ha nulla a che vedere con gli Stati.

Il Recovery Fund è... Non si sa. È un fondo ancora "in fase di studio" che forse, chissà, si vedrà nel duemilacredici. Secondo la vulgata piddina dovrebbe trattarsi di un'apertura verso gli eurobond, ma vien difficile crederlo a fronte del fatto che nel documento redatto dai Ministri dell'eurozona non si fa neanche lontanamente riferimento ad alcuna forma di condivisione del debito.

Quindi, notate nulla di nuovo? No? Appunto. Nessuno degli strumenti messi in campo esce minimamente dal perimetro dell'austerity. Rispondono tutti alla stessa dannata narrazione che vuole il denaro come "risorsa scarsa" e, va da sé, in mano a pochi.
Sottoscrivere l'accordo di giovedì e accettare che quelli esposti siano gli unici mezzi per gestire l'enorme crisi economica incombente è stato come buttarsi in mare aperto con mani e piedi legati. Dal punto di vista pratico, è stato dato un sostanziale assenso per un futuro accesso al MES, ma dal punto di vista politico si è fatto anche qualcosa di peggio.

Pragmaticamente parlando, infatti, è stato messo nero su bianco che l'unica strada percorribile, quando la crisi sarà tale da precluderci l'accesso ai mercati, è quella del MES. E, nella miglior tradizione delle profezie autoavveranti, è facile prevedere che questa stessa decisione farà inesorabilmente lievitare i rendimenti dei nostri titoli di Stato. Del resto i mercati si muovono in base a scenari futuribili e non si può pensare che aver messo in tavola questa prospettiva non susciti reazioni. Non ci resta che attendere il ritorno dello spread a livelli da 2011 e il prossimo "Fate presto" sulla prima pagina del Sole24Ore per scoprire il momento in cui scatterà la tagliola.

Dal punto di vista politico però è stato fatto qualcosa di ancor peggiore. All'eurogruppo dell'altro ieri, a quanto risulta, si è discusso di eurobond ma non è stata neanche avanzata la richiesta di una monetizzazione diretta e illimitata da parte della BCE degli interventi a sostegno dell'economia reale. Non provare neppure a proporre una discussione sulle misure che il resto del mondo sta già mettendo in campo per fronteggiare una situazione straordinaria è emblematico. È la cifra della subalternità totale del nostro ceto politico, e in particolar modo di questo Governo, all'eurocrazia e alla perversa logica neoliberale che non si ferma neppure di fronte ai morti.

Giovedì abbiamo dato al resto d'Europa la garanzia che, se anche alla fine non dovesse scattare il MES, l'Italia farà comunque quello che le verrà impartito. A qualunque costo e senza fiatare. Accetteremo con gratitudine quel poco di ossigeno che ci verrà concesso grazie agli acquisti sul secondario della Banca Centrale e poi, una volta terminata l'emergenza sanitaria, saremo pronti ad aprire una nuova stagione di "lacrime e sangue". La priorità sarà una e una sola: ridurre il debito pubblico (verosimilmente lievitato oltre il 150%). E quale sia la ricetta a marchio EU per ottemperare a questo ukase già lo sappiamo. Poco importa se la stagione di "riforme strutturali" verrà implementata sotto il commissariamento della Troika o sotto un governissimo Draghi.

La triste verità è che giovedì abbiamo dato un'altra stretta al cappio in cui siamo intrappolati da trent'anni.

Ma se Dio vuole, prima o dopo, la corda si rompe.

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