
Visto che viviamo tutti in una stanza con mezzo zoo safari di Berlino e ci dilettiamo sorridenti nel gioco di ignorarlo, penso sia doveroso unirmi al coro di quelli che cominciano a far notare la presenza del mordace serraglio. Iniziamo dunque questa riflessione parlando di cavalli e di carrozze. Pensate a tutto l’indotto che serve a costruire una carrozza e renderla operativa: falegnami, cocchieri, stallieri, veterinari, allevatori, maniscalchi e così via. Con l’avvento dell’automobile, sebbene l’entourage di chi produceva e gestiva le carrozze si fosse azzerato, sono spuntate innumerevoli nuove figure professionali e al contempo la diffusione del mezzo ha reso necessaria l'assunzione di nuova manodopera. Questo è il punto che screditava il pensiero luddista: la rivoluzione industriale, al peggio, modificava il lavoro senza distruggerlo. O addirittura ne generava di nuovo.
Mentre nel bel paese si sta ancora a discutere come entrare a pieno titolo nell'era della digitalizzazione, oltreoceano si raccolgono gli amari frutti di una guerra che ha già mietuto vittime pure qua da noi. Infatti l’avvento di computer sempre più potenti a sempre minor costo ha creato, per la prima volta nella storia, una rivoluzione tecnologica che non trasforma più il lavoro ma semplicemente lo elimina. Facciamo un esempio concreto: lo streaming on demand. Alla fine del vecchio millennio arrivò ad investire anche in Italia una catena internazionale di videoteche: Blockbuster. Diventò costume, esattamente come in tutto il resto dell’Occidente, noleggiare cassette da vedersi comodamente a casa il fine-settimana. Dopo un decennio abbondante, questo colosso da 145mila dipendenti, iniziò a sgretolarsi finendo per fallire definitivamente nel 2013. Cosa l’aveva ucciso? La possibilità, attraverso la distribuzione via Internet, di godersi lo stesso servizio senza dover uscire di casa. Con poche migliaia di persone in tutto il mondo e senza generare nessun indotto aggiuntivo, si è potuto offrire un servizio più economico e generalmente più efficiente. Bene, il paziente zero Blockbuster è stato solo il primo decesso di un’epidemia che incombe sull’economia mondiale.
Finora si poteva riassumere il processo di modernizzazione del lavoro come un binario che porta i lavoratori dai campi agli uffici passando per le industrie. Il problema della rivoluzione tecnologica in corso, però, è che colpisce specialmente il settore terziario. Non ci sono soltanto macchinari industriali che sostituiscono operai ma un ampio ventaglio di professioni si trova a rischio rimpiazzo: giornalisti [1], programmatori, addetti al marketing, perfino alcuni ruoli dirigenziali. La capacità di analizzare tantissimi dati permette facilmente di concepire algoritmi per automatizzare lavori creativi o addirittura d’intuizione. Già adesso grazie agli algoritmi di machine learning i computer possono fornire diagnosi mediche accurate che rivaleggiano con quelle di professionisti con anni d’esperienza. Le pubblicità che vi vengono proposte mentre navigate vengono progettate per voi in maniera sartoriale da programmi appositi. Abbiamo a che fare giornalmente con una presenza sempre più pervasiva dell’intelligenza artificiale. La velocità con la quale il fenomeno cresce è tale che diventa materialmente impossibile inventare nuovi impieghi o formare il personale licenziato per un nuovo lavoro sempre più specializzato (che verrà a sua volta aggredito dall’automazione nel giro di poco). I mestieri che ruotano attorno al contatto umano sono contati e d’altra parte è insostenibile una società che si basi esclusivamente su di essi. L’enorme elefante in questa stanza è completamente nuovo: impossibile applicare vecchi paradigmi e sperare che chiudendo gli occhi sparisca. Una soluzione che possa porre rimedio al problema e ripristinare l’agognato status quo non esiste: c’è da accettare le perdite, farsene una ragione e provare a trasformare questo potenziale cataclisma in una risorsa per la società.
Uno spunto per venirne a capo ce lo offre quella vecchia questione che abbiamo accantonato per trent’anni, la chiamavamo “redistribuzione dei profitti” o qualcosa del genere. Dato che l’automazione spinge la ricchezza da una maggioranza di clienti-consumatori a un’élite di magnati 4.0, un espediente, più semplice a dirsi che a farsi, potrebbe essere quello di imporre una fiscalità pesante e mirata. Tassare le macchine e i programmi, tassare i profitti di tipo finanziario ma più in generale tassare ferocemente tutti i redditi plurimilionari. In totale controtendenza all'attualità, in cui si ottengono incentivi per l’automazione ed è possibile evadere sfruttando la concorrenza fiscale tra i Paesi [2]. Ostinarsi a inseguire un modello ormai passato parlando di formazione e riqualificazione di per sé non può più risolvere nulla, sia perché non tutti sono in grado di reinventarsi con una frequenza quasi annuale, sia perché abbiamo visto come proprio i posti di lavoro “intellettuale” siano quelli aggrediti da questa rivoluzione. Nemmeno meritano un commento invece quei lungimiranti pensatori che sostengono che chiunque non sia pronto ad aggiornarsi meriti di rimaner tagliato fuori e di fare la fame: sarebbero le prime vittime del loro stesso approccio.
Oggi come oggi l’erosione dei posti di lavoro ha già generato una gara al ribasso sul mercato che, nel contesto globalizzato, ha già iniziato da anni ad allargare la forbice delle disuguaglianze sociali. Infatti diventa sempre più comune esser costretti a lavori estremamente sottoretribuiti e sono ormai all’ordine del giorno paghe effettuate non in valuta corrente ma in visibilità, esperienza e altre amenità che non pagano le bollette. Di fronte a questo scenario, le modalità operative con cui mettere in atto una redistribuzione concreta sono tutt’altro che univoche.
In Italia un primo tentativo in questo senso l’ha offerto il Governo giallo-verde: il reddito di cittadinanza. Apriti cielo! Innanzi tutto perché non è un vero e proprio reddito di cittadinanza (che prevedrebbe un sussidio a chiunque non lavori, a prescindere dal motivo) ma viene interpretato come tale. La cosa ha forzosamente messo a nudo le bieche riflessioni di individui che potrebbero far di tutto tranne che la predica. Quella comune ai più (da Confindustria all’ex presidente dell’INPS) è che l’entità del reddito di cittadinanza sia così “ingente” che da un lato scoraggerà la ricerca del lavoro, dall’altro farà licenziare le persone assunte. Tralasciamo il fatto che che ignorano a bella posta quelle clausole che impediscono di percepire l’indennità a chi si è licenziato e che al contempo obbligano a cercare attivamente un lavoro: il problema in primo luogo è che esistano lavori con compensi meno attrattivi di 780€ mensili. Queste uscite tradiscono un concetto semplice, cioè che ormai sono all'ordine del giorno molte posizioni che non possiamo che definire schiaviste, di puro sfruttamento. Ma ben venga allora una cosa del genere! Quando il libero mercato deve fare arricchire chi è già oltremodo benestante, sfruttando la povera gente, allora piace a tutti. Quando invece il libero mercato e le sue logiche devono applicarsi a favore degli ultimi, ecco che si parla di chissà quali rischi per l’impresa, di nullafacenti e compagnia bella. Inutile per questi “imprenditori” presentarsi in televisione a dire: “Offro noccioline per questa posizione iperqualificata e nessuno mi invia il curriculum, preferiscono il reddito e restare sul divano”. È la mano invisibile, e per una volta inizia a prendere a manate anche chi il capitale lo possiede. È stato bello delocalizzare, vero? Adesso sono i lavoratori che “delocalizzano” verso il provento migliore o ti dicono semplicemente di no. Tutti li chiamano svogliati, fannulloni o parassiti ma la realtà è che chi preferisce non lavorare che farsi sfruttare genera un servigio enorme alla comunità. Perché i signori del capitalismo sfrenato non conoscono crisi, e sarebbe ora che assaggiassero la loro stessa medicina: non è il lavoratore a non essere competitivo, ma la loro offerta di lavoro.
P.S. “Uno spettro si aggira per l’Europa” e, amici miei, non si tratta dello spettro del comunismo. L’Europa del mercato unico ha portato una concentrazione sempre più polarizzata della ricchezza che con l’avvento di quest’ultima rivoluzione tecnologica rischia seriamente di portare a nuove rivoluzioni sociali. Non a caso un movimento come quello dei gilet gialli ha retto mesi e mesi di manifestazioni ogni singolo finesettimana. Quando l’ultimo euro verrà speso per l’ennesimo prodotto inutile, al popolo non resterà altro che andare a caccia dei responsabili. Sta agli eurocrati scegliere se interpretare la versione romanzata di Maria Antonietta o andare a bussare alla sede di Amazon in Lussemburgo, Uber e FCA in Olanda, e dei vari campioni internazionali dell’evasione. Ammesso che non sia già troppo tardi, e che quel bagliore rosso sia il tramonto nei cieli di Bruxelles e non il fuoco delle torce.
Fonti
[1] Articolo del Washington Post sugli articoli redatti dalla propria intelligenza artificiale.
[2] Articolo del Corriere della Sera sull'elusione fiscale di Amazon negli USA.