
La trattativa tra la Commissione Europea e il Governo italiano sulla legge di bilancio è stata sicuramente l'argomento politico più caldo dell'autunno 2018. L’insistenza della Commissione sul rispetto delle “regole” e, in particolare, sulla necessità di ridurre il deficit per ridurre il debito pubblico ha creato non pochi grattacapi al governo giallo-verde, che si barcamena per conciliare le promesse elettorali ribadite nel contratto di governo con il tentativo di raffreddare lo spread sui titoli di stato e mitigare le turbolenze finanziarie.
C’è da chiedersi se la Commissione sia così rigida nei confronti del governo italiano solo per l’eventuale violazione dei parametri di Maastricht oppure se ci sia una volontà politica di fermare sul nascere ogni tentativo di cambiare rotta rispetto all’austerità che tante gioie ha portato alle élite europee. Se si tiene conto delle orecchie da mercante fatte dalla Commissione di fronte alle violazioni di alcune regole da parte dei primi della classe, la prima opzione risulta molto poco credibile.
Una violazione che è ampiamente nota, e aggiungerei particolarmente subdola, è il superamento del limite al surplus di bilancia commerciale. Questa regola non rientra fra quelle di Maastricht [1] ma rientra in un altro documento postumo alla crisi dei debiti del 2011, la Macroeconomic Imbalance Pro
È necessario precisare che questo saldo non viene calcolato solo nei confronti dell’Area Euro, e con buone ragioni. Immaginiamo un mondo in cui i paesi europei siano in equilibrio nella bilancia dei pagamenti tra loro ma siano in forte surplus con il resto del mondo. Un tale scenario creerebbe forti tensioni commerciali con buona parte delle superpotenze globali, soprattutto con gli USA che sono i più grandi importatori al mondo. Nel migliore dei casi tali attriti porterebbero a una forte rivalutazione dell’euro e a un'inevitabile diminuzione delle esportazioni vanificando ogni sforzo profuso nell’aumento della produttività. Che, ricordiamolo, può essere ottenuto tramite l’innovazione tecnologica o, più semplicemente, grazie alla riduzione degli stipendi dei dipendenti. Nel peggiore dei casi, invece, si rischierebbe una guerra commerciale a suon di dazi nei confronti dei prodotti europei. Un’ipotesi questa che ultimamente è stata più volte ventilata oltreoceano.
La seconda violazione, o trucchetto, adottato dai tedeschi ha a che fare con la loro gestione creativa del sistema bancario. L’ente d’investimento pubblico della Repubblica Federale, la Kreditanstalt für Wiederaufbau, è dotato di un organigramma societario simile alla nostra Cassa Depositi e Prestiti. L’80% circa è direttamente di proprietà del Ministero delle Finanze, il restante 20% per CDP è in mano a fondazioni bancarie e privati, mentre per KfW è in mano ai Länder. Nonostante la proprietà pubblica di entrambi gli istituti, nel caso italiano la parte di obbligazioni di CDP che è garantita dallo Stato viene conteggiata nel debito pubblico italiano mentre nel caso tedesco tutte queste passività vengono ignorate in virtù del fatto che queste obbligazioni non vengono ripagate tramite le tasse dallo Stato tedesco ma grazie ai ricavi derivanti dalle altre attività possedute dall’Istituto [3]. Non si capisce perché nel caso tedesco questo stock di debito, che equivale al 17% del PIL, venga bellamente messo sotto il tappeto.
Altro caso di asimmetria di trattamento si ha nella vigilanza delle banche popolari. In Italia, prima che ci mettesse mano un certo senatore di Pescara, un decreto del governo Renzi aveva di fatto obbligato le casse cooperative italiane a fondersi tra di loro e diventare S.p.A. per soddisfare i parametri di redditività e capitalizzazione comunitari, senza tenere conto che quelle regole erano state scritte principalmente per colossi bancari e che mal si applicavano alla realtà dei piccoli istituti di credito italiani. Nel mirino della riforma c'erano il voto capitario, che tutela i soci a discapito dei grandi azionisti, e il modello di banca con più attività creditizia che finanziaria, modello che viene malvisto dalla BCE in quanto si ritiene più rischioso data la crisi subprime.
In base agli stessi principi, tanto per esser chiari, sarebbero state da riformare anche le Landesbank tedesche. Questi istituti di credito di rilevanza regionale sono infatti pubblici in quanto gestiti dai Länder, in barba alle regole sulla concorrenza (Verstager se ci sei batti un colpo), con pratiche commerciali che in Italia darebbero adito alle più severe critiche di mala gestione e commistione d’interessi tra la classe politica e quella imprenditoriale.
Ebbene, il Bundesrat ha deciso che questi istituti di credito non avrebbero dovuto aderire alle regole comunitarie sulle banche e non fu certo un caso se alcune di queste finirono nell’occhio del ciclone sia della crisi Lehman dei mutui subprime del 2008 sia in quella del debito sovrano del 2011, mantenendo nel loro capitale miliardi di pericolosi derivati pronti a far saltare per aria il sistema creditizio tedesco.
Ma tutto questo viene bellamente ignorato dai gendarmi conniventi della Commissione, sempre pronti a bacchettare i PIGS e a voltarsi dall'altra parte quando si parla degli altri. Forse la lezione del Marchese del Grillo l'avremo anche inventata noi, ma Frau Merkel l'ha capita meglio di tutti.
[1] Trattato di Maastricht
[2] Macroeconomic Imbalance Pro
[3] Si noti che da un lato anche CDP non riceve finanziamenti da parte del Tesoro e dall’altro che anche la KfW fa uso della garanzia statale per i suoi prodotti.