
Piccolo memorandum per chi è meno affezionato alla cinematografia nipponica: Rashōmon è una celebre pellicola di Akira Kurosawa del 1950, uno straordinario inno alla natura sfaccettata e caleidoscopica della verità. L’intreccio del film si snoda attorno a un’efferata violenza che viene esposta allo spettatore attraverso cinque differenti versioni narrate da altrettanti personaggi. Nei decenni successivi saranno moltissimi i registi che riprenderanno questa tecnica narrativa, specie in Italia dove il film riscosse grande successo sia di critica che di pubblico.
Per snocciolare meglio una riflessione sulla crisi di Governo più calda di sempre, ho deciso di far ricorso anch’io a questo espediente. Capitemi: non tutti possono dirigere film, io mi devo sfogare con quello che ho.
L’estate del Capitano
Nemmeno lui se l’aspettava di doversi alzare dalla sua comoda sdraio a Milano Marittima. Cioè, forse per un selfie con i bagnanti o un dj set fra le cubiste ci poteva anche stare, ma non certo per tornare nell’afa della capitale. Eppure eccolo qui, più ambrato di un surfista californiano, a dileggiare le altrui abbronzature mentre richiama al lavoro i deretani degli onorevoli in vacanza. Non serve un occhio troppo attento per capire che c’è qualcosa che non quadra. Cosa può aver spinto tutto d’un tratto il Ministro della Movida a guastarsi le ferie e a rinunciare al tour elettorale sulle spiagge di mezza Italia per dare il via a una crisi di Governo? Politicamente parlando, questo era il momento peggiore dell’anno per staccare la spina all’esperienza giallo-verde. Certo, i sondaggi erano alle stelle da un po’ ma i grillini avevano appena ingoiato il boccone più amaro di tutti sul TAV inscenando, peraltro goffamente, un’eroica capitolazione in Parlamento. In più è ben noto che affossando l’esecutivo ad agosto si lascia sguarnito il Paese nel periodo più critico dell’anno, quello in cui si stende e soprattutto si discute a Bruxelles la finanziaria. Insomma, si sapeva da tempo che Salvini prima o poi avrebbe capitalizzato il vantaggio attribuitogli dai sondaggi e dai risultati delle europee ma questo tempismo non sembra proprio farina del suo sacco. E in effetti probabilmente non lo è.
Già da maggio infatti qualche dietrologista sosteneva che Salvini fosse pronto al ribaltone e che stesse solo aspettando l’ok di Toti per sfiduciare Conte. Ebbene sembra che quelle analisi fossero piuttosto lucide: la crisi è stata invocata in meno di 48 ore dalla fuoriuscita (o meglio, dalla cacciata) di Toti da Forza Italia. Qualcuno potrebbe chiedersi come mai venga tributata tutta questa rilevanza al governatore della Liguria, che in fin dei conti porterà all’altare una dote non superiore al 2-3% dei consensi. Ebbene si dia il caso che, seppur elettoralmente non rappresenti un carico da novanta, Toti goda di un enorme peso politico. A lui fanno riferimento la maggioranza degli amministratori in quota FI che stanno nelle regioni e nei comuni del settentrione e che non si sono ancora decisi a saltare esplicitamente sul carro trionfale di via Bellerio. Dunque quando lo stato maggiore della Lega si è trovato il rubicondo Giovanni con le mani finalmente libere, la decisione di andare all’incasso non era più rimandabile. I sondaggi del resto non possono crescere in eterno. Così il povero Matteo si è trovato “costretto” alla prima mossa veramente impopolare di questa legislatura: mandare a casa il Governo con l’indice di gradimento più alto degli ultimi vent’anni. Da sotto l’ombrellone, per giunta.
Ora giustamente i quadri della Lega hanno una fretta del diavolo di andare a votare. Si sono accorti che molti italiani, specie quelli che più di recente si erano avvicinati allo spadone di Alberto da Giussano, non hanno apprezzato la scelta irresponsabile di affossare il Governo Conte. Sentono il grandioso consenso accumulato in mesi di sfibrante campagna sfuggire fra le dita manco fosse la sabbia di Milano Marittima e, presi dall’ansia, si sono dovuti persino inventare la panzana che voteranno a favore del taglio dei parlamentari. Si vede lontano un miglio che non sono più lucidi e machiavellici come erano fino qualche settimana fa, infatti lo hanno subito capito tutti che il voto finale per la proposta Fraccaro è destinato a saltare se effettivamente Conte verrà sfiduciato dalla Lega. Il solleone e le prime contratture nei sondaggi stanno affannando gli strateghi leghisti, frustrati per esser riusciti dopo tutta questa giocata solo a metter il boccino in mano agli altri concorrenti dell’agone politico. In particolare a un certo “ragazzo un po’ stagionato, ma con il cuore sempre giovane” [1]. E mefistofelico.
L’estate del fu Cavaliere
C’è poco da dire, non servono doti divinatorie per intuire quale sia il mio giudizio politico sul Silvione nazionale. Eppure non posso non riconoscergli che sia una delle volpi più astute che abbiano mai calcato il panorama politico del bel paese. Ormai ho perso il conto delle volte in cui è stato dato per morto e mi secca ammettere che questa volta ci avevo creduto anch’io. Insomma, il sogno liberale del Berlusconi del ’94 è qualcosa che appartiene a un’altra era, lo Zeitgeist, lo Spirito del Tempo di hegeliana memoria, se l’è lasciato alle spalle da un pezzo. Eppure Silvio in questi giorni di agosto è riuscito clamorosamente a rimettere sul mercato Forza Italia, rendendola nuovamente appetibile come azionista di una prossima alleanza elettorale di centro-destra. Vediamo come.
Berlusconi era da tempo a conoscenza dell’intenzione di Toti di smembrare una volta per tutte Forza Italia per andare a costituire la stampella centrista alla Lega del Capitano. A quella speculazione dietrologica cui si faceva riferimento prima, Silvio era arrivato prima di tutti. E in questi mesi era apparso rassegnato agli eventi, non sembrava voler prendere provvedimenti contro questa prospettiva nefasta. Invece, ce lo confermano i fatti, stava solo aspettando il momento giusto per agire.
A inizio mese c’è stato grande fermento in Forza Italia: nell’arco di pochi giorni i ruoli dei coordinatori hanno ballato più scompostamente delle signorine alle serate di Arcore. Alla fine di tutto questo trambusto, a cui il Presidente non aveva ancora preso parte attiva, è calata la scure sulla testa del governatore ligure. Silvio ha cacciato definitivamente Toti dai ranghi di FI e con questo gesto ha innescato tutte quelle disavventure che hanno costretto Matteo ad abbandonare i lettini del Papeete.
Con questa colpo di coda, il Caimano è riuscito a ottenere due risultati fondamentali: mettere allo scoperto il giochino di Toti e soprattutto restituire un peso politico di primo piano alle sue pedine in Parlamento. Infatti era piuttosto prevedibile che i 5Stelle, di fronte al rischio concreto di interrompere bruscamente la legislatura e perdere molti seggi a Montecitorio e Palazzo Madama, avrebbero vagliato la possibilità di aderire a un Governo del Presidente sostenuto da vari “responsabili”. Analogamente anche una buona parte del PD, la falange renziana, rifugge le urne come la peste. Con la segreteria di Zingaretti non c’è più la possibilità di blindare nuovamente le liste come fece il giglio magico in vista delle politiche 2018. Ecco quindi che improvvisamente è comparso un nuovo ipotetico asse del tutto alternativo alla Lega, capace sia di demolire per sempre l’immagine dei 5Stelle sia di compromettere le ambizioni di Salvini sulla corsa ai “pieni poteri”. E non è finita qui.
Di fronte a questo scenario, i vertici della Lega non hanno potuto restare impassibili. Infatti la mattina del 12 agosto lo stesso Matteo che per più di un anno aveva evitato Silvio con ogni mezzo manco avesse la lebbra ha annunciato “un’apertura a Meloni e Berlusconi.” Così in meno di 24 ore Silvio ha fatto sapere che ci potrebbe stare, ma solo a patto che salti la testa del traditore Toti. Impressionante. Con poche precise mosse Berlusconi ha rimesso al centro dei giochi politici la sua creatura e, al contempo, è riuscito a far terra bruciata sotto ai piedi del transfuga che da tempo anelava pugnalarlo alle spalle. Giù il cappello, alla veneranda età di 82 anni continua a pisciare in testa a tutti e a spiegare che piove.
L’estate dell’altro Matteo
Quando è arrivata la notizia della crisi di Governo in pieno agosto, al Matteo di Firenze stava per venire un colpo. Diamine, tutto quell’impegno per farcire le liste del Partito Democratico di fedelissimi e poi, dopo meno di un anno e mezzo, va tutto in malora. C’era bisogno di agire in fretta per scongiurare la tragedia. Così i peggiori nemici del rottamatore, quei 5Stelle bollati da sempre come fascisti e ignoranti, in tre decimi di secondo sono divenuti dei potenziali alleati “mossi dal senso di responsabilità”. La capacità persuasiva della poltrona non è certo una novità, ma è sempre affascinante vederla in azione.
Dunque all’indomani delle novità dalle spiagge romagnole, Renzi già si affrettava a lanciare in un’intervista al Corriere “un appello a tutti” per dar vita insieme a “un governo istituzionale”. Un progetto che qualora andasse in porto produrrebbe due conseguenze graditissime: in prima battuta un passo in più sulla strada da tempo imboccata dell’avvicinamento a Berlusconi, in secondo luogo un potente affondo alla già minata credibilità dei grillini.
Per quanto riguarda la prima conseguenza, non c’è molto di cui stupirsi. È da qualche mese che tra le fila renziane si parla di scissione dal PD immaginando la nascita di una nuova formazione la cui proposta politica, ammesso abbia senso usare questa espressione, è indistinguibile da quella di FI. Del resto nessuno aveva mai capito come mai personaggi del calibro di Calenda si trovassero a militare in una formazione che, anche solo a chiacchiere, si professava di centro-sinistra. Nemmeno Calenda.
Per quanto riguarda invece l’effetto che avrebbe sui 5Stelle l’adesione a un governicchio del Presidente, a Matteo è perfettamente chiara la natura mortifera dell’abbraccio con cui cerca di allettare i grillini. Poco importa se qualche elettore che gli è andato dietro per anni si potrebbe indignare di fronte a un’alleanza con quella torma di barbari incompetenti: a loro farà mille volte peggio.
Purtroppo però ora Matteo si trova nello spiacevole frangente di doversi litigare la fanciulla di Arcore con un altro Matteo ben più attraente di lui. E a quanto dicono voci di corridoio, l’inquilina di Palazzo Grazioli è sempre stata una molto sensibile al sex appeal.
L’estate del fratello di Montalbano
Allo Zingaretti più giovane non è molto chiaro quello che sta succedendo da un paio di settimane a questa parte. Sì, gli hanno spiegato da dietro le quinte che andare al voto anticipato non sarebbe poi così male perché permetterebbe di epurare dal PD molti tizi con l’accento toscano. Però a lui tutto sommato fanno ridere per come parlano quindi, nel dubbio, meglio starsene buoni da una parte e vedere che succede.
L’estate di Giggino
Un’estate così rognosa i 5Stelle non l’avevano mai vista. Il tentativo di parlamentarizzare la decisione sul TAV per salvare la faccia doveva esser l’ultimo rospo da ingoiare prima delle vacanze, poi per forza di cose i tumulti salviniani avrebbero dovuto aspettare settembre. E invece niente, dopo la votazione al senato sull’Alta Velocità, è arrivata pure questa gatta da pelare. All’inizio sembrava l’ennesima trovata del Capitano per tenere alta la tensione persino sul bagnasciuga, ma poi si è capito che stavolta in via Bellerio facevano sul serio. Forse. Ma cominciamo dal principio.
All’indomani dell’editto di Milano Marittima, il senso di rivalsa nei confronti di chi aveva tradito un patto di Governo lasciando il Paese con le proverbiali pezze al culo era molto forte tra gli onorevoli del M5S. Talmente forte che la prospettiva di un esecutivo di scopo con il PD renziano orientato a tagliare un terzo dei parlamentari e ad approvare la legge di bilancio per un attimo non era sembrata neppure così nefasta. Certo, si spera che a mente fredda i grillini abbiano realizzato l’inclinazione tafazziana di questo proposito, se non altro perché i numeri dei soli renziani non basterebbero a far da stampella a un Governo del Presidente e quindi servirebbero anche i voti di Forza Italia. Forza Italia, non proprio il partito immacolato delle verginelle della politica. La Storia però ci ha insegnato che non si può mai dire mai, quindi vediamo quale scenario potrebbe configurarsi nel caso in cui il flirt con il Bomba e il Cavaliere dovesse sfociare in qualcosa di più.
Quello che verrebbe fuori con ogni probabilità sarebbe un governicchio molto debole plasmato a propria immagine e somiglianza dal Quirinale. Se ci sforziamo di ricordare come andò la nomina al Ministero dell’Economia durante la travagliata formazione del Governo giallo-verde, non è difficile immaginare cosa potrebbe accadere con un Governo ancor più composito. Ebbene, questo neonato governicchio sarebbe proprio quello che in autunno dovrebbe andare a Bruxelles a discutere la manovra di fronte alla Commisione. Scappa già da ridere. E, anche nel remotissimo caso in cui questo mostro di Frankenstein coltivasse le giuste ambizioni economiche, non godrebbe comunque della legittimazione popolare necessaria per forzare la mano con la von der Leyen. Sì, probabilmente la manovra scaturita scongiurerebbe l'aumento dell'IVA, ma sarebbe ben lontana dall'iniziativa coraggiosa che gli italiani reclamano da tempo a gran voce. Non per nulla il defunto asse giallo-verde godeva della simpatia della maggioranza del Paese specialmente in virtù delle posizioni anti-austerity.
Se davvero gli eventi dovessero seguire questo corso, Salvini avrebbe vita facile dai banchi dell’opposizione nel fare una campagna elettorale strabiliante. Denunciando la subalternità ai diktat europei della finanziaria appena varata, riuscirebbe persino a far dimenticare a tutti la sua ignominiosa condotta estiva e si avvierebbe verso le politiche 2020 con il vento in poppa, pronto a un trionfo elettorale senza precedenti.
Si noti che questo outcome non solo non dispiacerebbe a Berlusconi, ma non risulterebbe così sgradito neppure a "sinistra". Il neoconservatorismo leghista è infatti l'avversario perfetto per i dem. Salvini ha tutte le carte in regola per ricoprire il ruolo del nuovo Berlusconi, una personalità forte capace di polarizzare l'elettorato e fornire linfa vitale a un'opposizione altrimenti senza ragion d'essere. L’unica vera vittima di questo scenario sarebbero i 5Stelle, che si ritroverebbero (giustamente) bollati come l’ennesimo partito vestale dello status quo e dell’ordine neoliberista, con tanti saluti alle loro velleità rivoluzionarie e al loro populismo democratico.
Ma la strada dell’inciucione, fortunatamente, non è l’unica percorribile per i 5Stelle. Anzi, la via del “voto subito” potrebbe nascondere delle sorprese, complice il pessimo tempismo della defezione salviniana. Certo, è assurdo pensare di poter ritrovare dopo le urne gli attuali rapporti di forza in Parlamento, ma ci sono buone probabilità che le cose vadano meglio del previsto. Un ruolo da opposizione principale nella prossima legislatura è probabilmente l’obiettivo a cui dovrebbe ambire il MoVimento, alle prese con una riorganizzazione strutturale ma anche identitaria. Se tra qualche anno il 5Stelle avrà saputo metter da parte le sue tentazioni eco-globaliste alla Greta Thunberg e avrà rimodulato la sua pulsione anti-casta in una spinta anti-sistema, avrà l’opportunità di confrontarsi con i sovranisti sui loro temi cardine, scavalcandoli in nome di un populismo democratico che l’Italia, e non solo l’Italia, attende con trepidazione. Il recupero di quello spirito rivoluzionario di cui parlava Casaleggio è la vera sfida per i grillini nel corso della prossima legislatura: se sapranno coglierla senza farsi distrarre dalle blandizie dei palazzi del potere avranno la strada spianata.
Tuttavia, proprio mentre butto giù queste righe, la dicotomia esposta pocanzi tra inciucione e voto autunnale sembra esser stata nuovamente superata. La Lega, messa alle corde dall’astuzia berlusconiana, potrebbe provare a trarsi d’impaccio ritirando la mozione di sfiducia nei confronti del Premier. Una trovata che prolungherebbe di almeno sette o otto mesi la vita dell’ibrido giallo-verde e che costringerebbe gli uomini in verde ad approvare il taglio dei parlamentari. Non impossibile come scenario, ma decisamente improbabile: i luogotenenti della Lega sono ben consci della volatilità odierna del consenso, mi pare difficile che rimandino il tanto agognato incasso elettorale alle calende greche. Esponendo poi, non dimentichiamolo, la già compromessa credibilità di Salvini a un ennesimo clamoroso dietro-front.
Qualunque cosa accada, per uscire da questo ginepraio i 5Stelle avranno bisogno di tenere la barra dritta e di far uso (almeno per una volta) di un po’ di sana malizia: che non si infognino in adunate improponibili per conseguire a tutti i costi il taglio dei parlamentari. Se la prossima settimana i leghisti vorranno azzoppare Conte, che si vada al voto con la triplice onta per il Capitano di aver tradito il Paese, di aver salvato le poltrone e di andare a braccetto con il Cavaliere. Se invece la Lega tornerà sui suoi passi ritirando la sfiducia, tanto di guadagnato sia per il MoVimento, che per almeno qualche mese non dovrà sopportare le turbolenze salviniane, sia per il Paese, che dopo anni rischia di avere finalmente la manovra finanziaria che merita.
Fonti
[1] Storico messaggio di buon anno 2000 ai giovani da parte del sempiterno Presidente.