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“Non certo io amo mia moglie e mio figlio più che non mio padre e la Chiosa Pubblica."

Germanico

Rien ne va plus, les francs sont faits

Una banconota da 500 Franchi CFA.

Strano ma vero, il tema caldo dell’ultimo fine-settimana giornalistico italiano è stato davvero sopra le righe, nulla a che vedere con le solite polemiche sterili a cui siamo stati abituati dagli illustri fondisti della domenica mattina. Stavolta la vicenda sotto ai riflettori è quella del Franco CFA, acronimo che oggi sta per Comunità Finanziaria Africana e che fino a ieri alludeva alle Colonie Francesi d’Africa. A poche ore dalle dichiarazioni di Di Maio e Di Battista contro le politiche neocolonialiste dei cugini d’oltralpe, si è infatti scatenato un vero polverone e se ne sono sentite di tutti i colori sull’argomento. C’è stato persino chi da “sinistra” ha perorato la causa del Franco CFA sostenendo che fosse una manna per le economia africane che lo avevano “voluto” adottare. Proviamo dunque a fare un attimo di chiarezza sulla questione, anche se secondo me la dice già lunga la scelta francese di aver mantenuto l’acronimo della moneta coloniale.

I Paesi che condividono questa valuta sono in totale quattordici, otto raccolti nell’Unione Economica e Monetaria Ovest-Africana (UEMOA) e sei nella Comunità Economica e Monetaria dell’Africa Centrale (CEMAC). Questi Stati fino al 1973 erano costretti a consegnare alla Banca di Francia il 100% dei ricavi ottenuti in valuta estera con le esportazioni sul mercato internazionale. La Francia, una volta incassati dollari sonanti, ricambiava stampando una pezzo di carta, il Franco CFA, di cui poteva arbitrariamente fissare il tasso di cambio con il Franco nazionale a proprio uso e consumo. Ebbene la situazione oggi non è poi così cambiata: la differenza principale sta nel fatto che la percentuale degli introiti tributata a Parigi in valuta straniera è scesa dal 100% al 50%. Cioè ancora oggi nel 2019 per ogni cento dollari di diamanti congolesi venduti, cinquanta puliti vanno in tasca al Tesoro francese.

Di fronte a quest’amara considerazione, nell’area democratica c’è stata un’inaspettata levata di scudi in supporto a Monsieur le Président, suscitata da non si sa bene cosa se non un riflesso pavloviano alle uscite dei giallo-verdi. In prima linea si è distinto il centurione Marattin, che si è dilungato sui social in un puntiglioso debunking della presunta bufala del Franco CFA [1]. La sua analisi, ripresa anche da molti altri commentatori, è indirizzata a smontare pezzo per pezzo l’accusa di neocolonialismo rivolta ai transalpini. Infatti secondo l’economista del PD:

  • la valuta estera trattenuta dalla Banca di Francia funge da riserva a garanzia del tasso di cambio vincolato alla moneta francese;
  • il tesoretto in questione ammonta a neanche dieci miliardi di euro, che sono sì e no mezzo punto del PIL francese, cioè quisquilie;
  • questa cifra è un prezzo più che ragionevole per i Paesi africani pur di mettersi al riparo dai rischi dell’instabilità finanziaria.

Insomma, citando testualmente le parole del deputato ospite di un salotto di la7: «La Francia aiuta i Paesi africani». Altro che colonialismo, questo è senso del dovere istituzionale bello e buono da cui Parigi «non trae alcun beneficio.»

Chissà se Marattin e compari si sono accorti di un piccolissimo dettaglio: la Francia da qualche annetto ha abbandonato la propria moneta nazionale per aderire all’euro. Il Franco CFA si è così agganciato alla moneta unica che, fatalità, viene battuta dalla Banca Centrale Europea. Non dalla Banca di Francia. Come mai allora è ancora il Tesoro francese a garantire la convertibilità della moneta africana e non la BCE? I più maliziosi potrebbero addirittura pensare che la possibilità di fissare il cambio con l’euro sia una prerogativa vantaggiosa, ma sono fuori strada: è puro senso di altruismo verso i fratelli africani. E poi quante storie per mezzo punto di PIL, sono questioni di lana caprina. Speriamo che nessuno faccia notare allo stimato economista che le ex-colonie francesi sono tra gli Stati più poveri al mondo e che il prodotto interno lordo di molte di queste nazioni manco li raggiunge i dieci miliardi di euro.

Quella della stabilità del valore della moneta invece è una problematica abbastanza concreta, specie per Paesi dove spesso già la stabilità politica è una chimera. Capiamoci: allo stato attuale delle cose, l’esser vincolati a una moneta forte come l’euro è una bella palla al piede per quegli Stati che avrebbero la possibilità di sviluppare veramente un tessuto produttivo. Il cambio fisso inibisce l’export continentale e privilegia le partnership commerciali solamente con l’eurozona, cosa che comprensibilmente riduce il più delle volte le economie del continente nero a meri serbatoi di prodotti non lavorati. Non proprio l’ambiente più adatto per creare uno sviluppo industriale uniforme che possa iniziare a mitigare le strepitose disuguaglianze sociali, specialmente se si tiene in conto che il prezzo delle materie prime è comunque soggetto a ingenti fluttuazioni di mercato dettate dai paesi importatori. Quindi alla fine tutta l'instabilità fatta uscire dalla porta attraverso l'aggancio all'euro rientra dalla finestra. 
È pur vero però che se economie così fragili dovessero dall'oggi al domani iniziare a batter moneta propria, rischierebbero fortemente di esporsi all'eventualità del cappio speculativo. Non a caso all’interno del dibattito africano sulla questione, oltre a chi legittimamente reclama a gran voce la sovranità monetaria, c’è qualcuno che timidamente propone di sganciare il franco coloniale dall’euro per poi abbinarlo a un paniere di valute straniere che comprenda anche dollaro, rublo, yen e yuan.

Ma la dipendenza economica e monetaria è solo una delle conseguenze di una sudditanza ben più grave per l’Africa: quella politica. Le élite locali che tengono in mano le redini dei vari Paesi sono super-frammentate e per le potenze occidentali (non solo per la Francia) è facilissimo manipolarle con mance e prebende non particolarmente esose. La corruzione è un sistema ben rodato per tenere sotto controllo i potentati di stampo tribale, che vengono poi messi al riparo dalle conseguenze del malgoverno con salvacondotti di ogni tipo (primo fra tutti, proprio la convertibilità in euro delle ricchezze accumulate). Un caso decisamente emblematico è quello di Ali Bongo Ondimba, Presidente in carica del Gabon dal 2009, che è ripetutamente giunto all'onore delle cronache europee grazie a vari scandali immobiliari riguardanti lussuose proprietà disseminate in tutta la Francia. 

Non mettiamoci però a scomodare mali che sono endemici per tutto il continente africano e restiamo in tema con la questione calda di oggi: alle folte schiere di liberal che hanno bollato come cialtronata il j'accuse contro il neocolonialismo francese bisognerebbe ricordare un altro paio di cosucce. Se infatti è vero che qualcuno è riuscito a fatica a sottrarsi al giogo della moneta coloniale, si pensi al Madagascar, la maggioranza di quelli che ci hanno provato non sono finiti benissimo. Nel senso che nel migliore dei casi i leader eterodossi sono stati destituiti, nel peggiore sono stati passati per le armi. Interessante a questo proposito la vicenda di Sylvanus Olympio, primo Presidente del Togo indipendente, che fu fautore di una politica estera aperta soprattutto a Gran Bretagna e Stati Uniti e che pertanto nel ’63 ebbe la sventurata idea di non rinnovare il patto monetario con la Francia. La cosa gli costò caro: un plotone di soldati capitanati da un veterano francese lo mise a tacere definitivamente e senza troppe cerimonie.

Ma ancora oggi ci sono testimonianze palesi della succubanza politica in cui gravano le nazioni raccolte in UEMOA e CEMAC. Queste due comunità hanno due rispettive banche centrali, che, come è ormai chiaro, non emettono autonomamente moneta ma che quanto meno dovrebbero essere organi politici indipendenti che promuovano gli interessi degli Stati membri. Ebbene, ai vertici di queste istituzioni siedono anche rappresentanti del Governo francese. E, udite udite, questi rappresentanti hanno il diritto di veto in consiglio d’amministrazione [2]. Tutto alla luce del sole naturalmente, senza neanche il bisogno di mascherare la cosa con qualche escamotage.

A ben pensarci però non c’è troppo di cui stupirsi, stiamo pur sempre parlando di quella stessa Francia che in Libia senza troppe remore morali appoggia economicamente il sanguinario generale Haftar, in barba al Parlamento di Tripoli legittimato e sostenuto dall’ONU [3]. La partita in effetti vien giocata a carte scoperte, poco da dire. Peccato solo che ci sia ancora qualcuno che si copre gli occhi e rifiuta di guardare il tavolo, ma si sa: non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.

 

Fonti

[1] Post su Facebook del deputato PD Marattin.

[2] Pagina web del Consiglio d'Amministrazione della BCEAO (Banque Centrale des Etats de l’Afrique de l’Ouest). Come si nota il CdA comprende "un membro nominato dallo Stato che garantisce la convertibilità della moneta comune."

[3] Articolo della Chiosa Pubblica di settembre 2018 sulla situazione libica, che pone l'accento sulla controversa posizione della Francia. 

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